Operetta » LA BELLE HÉLÈNE


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Musiche di Jacques Offenbach
Libretto di H. Meilhac e L. Halévy

Compagnia di Operette Alfafolies
Coro “Carmine Casciano”
Balletto Alfaballett
Scene e Costumi della Compagnia
Regia di Augusto Grilli

Il giudizio di Paride assegna la palma dell’avvenenza a Venere: il giovane figlio di Priamo viene perciò ripagato dalla dea con la promessa dell’amore della donna più bella del mondo, Elena di Troia. La notizia arriva presto a Sparta, dove vive appunto Elena, moglie annoiata di Menelao. Ella è ben felice di potere assegnare alla fatalità, che di continuo invoca, la colpa di un tradimento che la invoglia, così da salvaguardare la sua reputazione.
Intanto Paride giunge a Sparta nelle vesti di un umile pastore, e chiede aiuto a Calcante per ottenere ciò che Venere gli ha promesso. Elena non manca di notare il bel pastore, ma l’arrivo dei re greci dà inizio ad una gara di intelligenza voluta da Agamennone. Paride riesce facilmente a risolvere le sciarade proposte e, una volta vincitore, svela la sua identità provocando lo sbigottimento generale. La situazione incresciosa viene risolta grazie all’aiuto dell’indovino e imbroglione Calcante, che, con un falso oracolo, riesce ad allontanare Menelao, spedendolo sui monti di Creta, fra l’ilarità generale.
Si susseguono le schermaglie amorose tra Paride e Elena, la quale vorrebbe cedere senza perdere la sua reputazione di donna onesta. Quando Elena si addormenta e Paride si introduce nei suoi appartamenti lei fa finta di credere che si tratti di un sogno. Sul più bello compare Menelao, ma la regina ha buon gioco nel protestare la sua innocenza: nella confusione che ne nasce Paride approfitta per scappare.
Ma il destino voleva che Paride ed Elena si amassero e si teme una vendetta di Venere. Menelao si rivolge all’augure di Venere il quale lo informa che esiste solo un modo per calmare le ire della dea: mandare Elena a Citera e farle sacrificare 100 giovenche. Elena si imbarca per Citera e mentre la nave si allontana si scopre che l’augure di Venere non è altri che Paride. Per Menelao è un affronto troppo grande. Proclamerà la guerra di Troia.

La Belle Elena fu forse il più grande successo di Offenbach e diede inizio a quella che Alphonse Daudet definì, la ‘Offenbachiade’, ossia il periodo compreso tra il 1864 e il 1870, allorché il compositore tedesco dominò completamente la vita teatrale parigina. Ancora oggi rimane questo il suo titolo più conosciuto e, insieme a Orfeo all’inferno, ha fatto sì che il nome del compositore venisse legato per sempre alla parodia dell’antichità.
Scegliere l’antichità classica significava per Offenbach essenzialmente tre cose: variare i soliti soggetti proposti al suo pubblico; satireggiare il gusto ‘neoclassico’ di poeti e scrittori come Baudelaire, Gautier, Leconte de Lisle; infine, munirsi di uno schermo al riparo del quale stigmatizzare i costumi della società del suo tempo. La parodia di Offenbach, peraltro, investe non solo la società ma anche i gusti e gli stili musicali del suo tempo: l’inno al sogno e alla notte di Paride ed Elena interrotto bruscamente dall’arrivo di Menelao, richiama alla mente quello di Tristano e Isotta spezzato, ben più tragicamente, dall’arrivo di re Marke. Nel finale del primo atto, dopo la rivelazione della vera identità di Paride, Offenbach costruisce un episodio in cui sciorina tutti i cliché dell’opera romantica. Ancor più chiaramente parodistica la citazione testuale del trio di Guglielmo Tell all’inizio del ‘Trio patriottico’ nel terzo atto. Alla tragicità della situazione rossiniana fa riscontro la caricatura: Agamennone e Calcante tirano in ballo il bene del paese per convincere Menelao ad accettare il volere di Venere, ossia le ‘corna’.
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